Profumo di mimose nei paesi delle streghe
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Tra i palazzi e la pungente umidità del mattino presto della periferia sud, che a dire il vero non sembra tanto curarsi di noi, ci ritroviamo alla spicciolata, a piccoli grumi o uno a uno, sgranati come i chicchi di un rosario, che passano tra le dita esperte e vissute di un’anziana signora dagli occhi infossati.

Saluti, baci sulle guance fresche, strette di mano, qualche battuta, tenui sorrisi sui volti ancora segnati dal sonno. Prime avvisaglie di cordiale allegria.
Sotto un bel cielo terso, via via il gruppo si riaddensa, come se non si fosse mai lasciato dall’ultima gita.
A pronunciare Liguria viene già in mente il mare e l’odore dell’aria fresca e saporita di sale. Il freddo dei giorni scorsi diventa sempre più lontano e non c’è dubbio che oggi ci sarà molto tepore.
Ancora qualche accordo e poi si parte. Destinazione Liguria. Precisamente Zuccarello (SV), borgo medievale fortificato e centro turistico della valle del torrente Neva, recita una brochure locale.

Zuccarello

In auto c’è un posto comodo per tutti, anche per chi non è presente; qualcuno lancia un segnale da lontano con un sms per un saluto, qualcun’altro è qui nelle parole degli altri e nei ricordi di altre avventure; condivisione, progetti e prospettive allietano il tragitto.

Il gruppo non è troppo numeroso: 14 partecipanti, è la consistenza ideale per una gita.
Sole ridente, cielo azzurro, temperatura primaverile. Prime avvisaglie di allergia, per chi ne sa qualcosa. Se la sensibilità al polline è come una rondine che fa primavera, allora forse l’inverno possiamo iniziare a riporlo nel cassetto dei ricordi, o metterlo via con i maglioni insieme alla naftalina.
La Liguria, terra un po’ angusta, ci attente sulla cima del valico. Ci accoglie con qualche pala eolica bianca e imponente e uno scorcio ristoratore sul mare.
Dopo i rigori invernali è proprio quello che ci vuole per aprire lo sguardo verso il domani.
Ancora tragitto, ora scendiamo.
Curva dopo curva, finalmente, un po’ stremati dal viaggio, eccoci tra le quasi deserte e tranquille viottole della domenica mattina di Zuccarello. Tante pietre che l’uomo ha ordito in vicoli, strade, ponticelli, archi e facciate. Qui ci aspetta l’umidità odorosa delle viuzze strette e silenziose che si snodano sotto i nostri passi; scorci suggestivi rapiscono la nostra attenzione. Qua e là qualche gatto sornione ci scruta dubbioso. Scatti, commenti, indugi prima di prendere il via del sentiero dopo aver costeggiato un vivaio.

Zuccarello

In basso, lungo il letto del Neva, corre un facile tracciato dove ci disperdiamo a gruppetti, dove iniziamo a sgranchirci gli arti e a respirare aria pura, sotto il calore del sole che non si fa attendere. Possiamo, finalmente, metterci in tenuta estiva e riporre i pile nello zaino.
Qualcuno parlotta, qualcuno è intento a misurare passi e pensieri su questo terreno, come gli ingredienti di una gustosa pietanza; distanti e vicini scorriamo a fianco del fiume che non smette mai di mormorare, di sussurrare il suo liquido lamento, mentre alterna piccole rapide e tranquilli specchi d’acqua dove verrebbe voglia di fare un tuffo. Una bella idea per l’estate.
Intanto avanziamo lenti e ridenti come il sole e le bici di una gara di cui ci giunge qualche eco dalla strada.
Sostenuti da un suggestivo ponte romano a due arcate, attraversiamo il Neva che non smette mai di gorgogliare. Chissà quante vicende questa antichissima passerella ha visto transitare, ma le sue pietre non proferiscono parole, lasciano spazio a tutta la nostra immaginazione.

torrente

Un cane severo al nostro passaggio ci urla dietro, ci dice di affrettarci, vuole tornare a riposare indisturbato e senza le nostre voci tra le zampe.
Iniziamo a risalire. Il sentiero si inerpica ma non affatica; la tensione dell’andare in sù dà un senso di vigore e richiama la forza nel respiro che si affanna e nel sudore che spunta. Questa tensione tra me e la strada è come una lotta silenziosa che mi desta, chiama al raduno muscoli e ossa, risveglia; mi dice che c’è energia nel corpo.
Si sale ancora per un tratto di strada; ancora un segmento di sentiero, sino a conquistare Castelvecchio di Rocca Barbena con tutte le sue case riordinate e la rocca purtroppo inaccessibile.
Abbiamo prenotato un bel prato con vista sulla vallata, ognuno è libero di accomodarsi dove vuole: panchina, sedile, prato, terra, muricciolo per sgranocchiare tutto quello che sgorga dagli zaini. Dopo aver sedato lo stomaco, siamo liberi di sgattaiolare tra le viuzze, c’è chi va alla ricerca di un buon caffé e chi sta sornione al sole. Ci circondano case ben riassettate, che mostrano, ammassate le une sulle altre come curiose comari che ci spiano, tutte le loro candite pietre, le finestre rifinite e buona parte del loro antico splendore. Sembrano solo un po’ tristi perché poco abitate, lasciate sole per gran parte dell’anno in attesa che qualcuno venga da chissà dove a spalancare porte e balconi.

fotografi e passi

Esaurita la visita del borgo, ci rimettiamo in marcia allegri e compatti, tra ulivi puliti e ordinati iniziamo la discesa dolce e graduale su ciottoli ben assestati.
Lenti, lenti riabbracciamo Zuccarello che ci ha atteso paziente con una calda focaccia mentre il sole ha finito il suo giro e ci lascia in compagnia della sera.
Stretti attorno a un tavolo condiamo le pietanze di risa, commenti, scherzi e buon umore. Ma non è ancora finita. Immersi nel buio della notte e sotto uno spicchio di luna e le stelle, ci rimettiamo soddisfatti in auto per il non troppo breve rientro.
Il paesello non si appone, ci lascia andare facendo ciao con la mano mentre sta per chiudere gli occhi.
Alla prossima!

Patrizia C. (Foto di KARIDWEN)

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